CASEIFICIO VEGANO diffidato dal Ministero dell’Agricoltura | “Non può utilizzare la parola formaggio”

di Irene

Il Caseificio Vegano di San Giovanni in Persiceto (BO), laboratorio artigianale condotto da Barbara Ferrante che produce ottime alternative vegane al formaggio, si è ritrovato al centro di una controversia legale dopo aver ricevuto una diffida dal Ministero dell’Agricoltura.

La contestazione riguarda proprio l’uso della parola formaggio per descrivere i suoi prodotti vegetali. Questa decisione, se non rispettata, prevede sanzioni fino a 100.000 euro, una cifra insostenibile per una realtà artigianale di piccole dimensioni e comunque priva di senso.

Barbara Ferrante, proprietaria del Caseificio Vegano, ha dichiarato:

“Il mio avvocato mi ha consigliato di togliere il termine “formaggio”. Le sanzioni che mi minacciano sono troppo alte per la mia piccola attività, che non riuscirebbe a sostenerle. Mi adeguerò alla legge, anche se ritengo che sia profondamente ingiusta.”

Una Normativa che Penalizza l’Innovazione

La diffida trova la sua base in una normativa approvata nel 2013, il Regolamento (UE) n. 1308/2013, secondo cui termini come “formaggio” sono legalmente riservati ai prodotti lattiero-caseari di origine animale. Una norma che mira a tutelare i produttori di latticini tradizionali vietando l’uso di termini associati ai prodotti caseari per descrivere alternative vegetali. Una legge che, di fatto, non tiene minimamente conto dell’evoluzione del mercato alimentare e del crescente interesse verso soluzioni etiche e sostenibili.

In un contesto globale dove la crisi climatica è sempre più evidente e dove gli obiettivi europei puntano a una transizione ecologica, normative come queste appaiono anacronistiche. Esse limitano le realtà innovative e sostenibili come il Caseificio Vegano, che rappresentano un’opzione concreta per chi vuole ridurre il proprio impatto ambientale, oltre naturalmente a rispettare ogni forma di vita.

Peraltro, come si può pensare che possa rischiare di ingannare il cliente un progetto che sceglie in maniera chiara, diretta e orgogliosa, di inserire orgogliosamente il termine vegano nel proprio nome?!

Una Battaglia di Settore

Il caso del Caseificio Vegano non è isolato. È l’esempio di un’industria alimentare vegana in espansione, che si scontra con normative e politiche spesso orientate a proteggere gli interessi delle grandi aziende del settore lattiero-caseario. Uno squilibrio più volte documentato e sottolineato dal documentario Food for Profit, che ha esplorato il potere e l’influenza del settore zootecnico nella definizione delle regole del mercato.

Un Cambiamento Necessario

Questa vicenda porta con sé una riflessione più ampia: il linguaggio alimentare deve adattarsi ai tempi. Per i consumatori vegani, termini come formaggio non rappresentano un tentativo di imitazione ma un modo per descrivere un prodotto in base alla sua funzione e al suo utilizzo.

Vietare l’uso di queste parole rischia di ostacolare un cambiamento necessario verso un modello alimentare più etico e sostenibile.

Barbara Ferrante, vegana e attivista per i diritti animali, pur accettando di adeguarsi alla normativa, promette di non fermarsi:

“Questa diffida segna però l’inizio di una battaglia: non possiamo più tollerare che un settore etico e sostenibile venga costantemente penalizzato. La nostra stessa esistenza fa emergere contraddizioni insanabili all’interno di un modello produttivo che sopravvive unicamente grazie a un consistente drenaggio, peraltro poco trasparente, di risorse pubbliche”.

Il settore alimentare sta cambiando, ma le normative devono evolvere con esso. Continuare a penalizzare realtà come il Caseificio Vegano significa ignorare le richieste di una società che cerca di conciliare etica, sostenibilità e innovazione.

La battaglia è aperta, e la voce di chi lavora per un’alternativa è sempre più forte e non può più essere ignorata.

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